vineri, 25 septembrie 2009

Tribunale Ue: la Commissione non può assegnare tetti emissioni CO2

Imponendo un tetto massimo di quote di emissione di Co2 da assegnare ai vari paesi al di sopra del quale i piani nazionali di riduzione dei gas a effetto serra sarebbero giudicati incompatibili, la Commissione europea «ha oltrepassato le competenze che le sono conferite». Lo ha sancito il Tribunale di primo grado Ue che oggi ha annullato le decisioni della Commissione concernenti i piani nazionali di assegnazione di quote polacco ed estone. E' una sentenza che scardina il principio su cui si fonda l'azione comunitaria.

Due anni fa la Commissione Ue giudicò i piani nazionali polacco ed estone di riduzione delle emissioni di Co2 incompatibili con i criteri della direttiva europea e decise che occorreva ridurre rispettivamente del 26,7% 1 e del 47,8% le quantità totali annue di quote di emissione rispetto a quelle che i due Stati membri proponevano di emettere. Di qui il ricorso della Polonia, sostenuta da Ungheria, Lituania e Slovacchia, e dell'Estonia sostenuta da Lituania e Slovacchia, contro la Commissione europea, sostenuta dal Regno Unito.

Il Tribunale ha constatato che «lo Stato membro è l'unico competente, da una parte, ad elaborare il piano nazionale che notifica alla Commissione e con cui si prefigge di raggiungere gli obiettivi definiti dalla direttiva circa le emissioni di gas a effetto serra, e, dall'altra, a prendere la decisione finale che fissa la quantità totale di quote da assegnare per ciascun periodo di cinque anni e la suddivisione di tale quantità tra gli operatori economici».

Quanto alla Commissione, essa dispone di un potere di controllo del piano nazionale «fortemente limitato» essendo solo legittimata a verificare la conformità delle scelte nazionali con i criteri enunciati nella direttiva ed a respingere tale piano con decisione motivata, per incompatibilità con tali criteri e disposizioni.

Avanzando dei dubbi circa l'attendibilità dei dati sui quali si sono fondate l'Estonia e la Polonia, la Commissione è incorsa in un errore di diritto. Quando la Commissione decide di respingere il piano nazionale notificato, «non può pretendere di escludere i dati in questione per sostituirli sic et simpliciter con i dati ottenuti a partire dal proprio metodo di valutazione». Sostenendo che, in base al principio della parità di trattamento, le spettava stabilire ed applicare un medesimo metodo di valutazione per i piani di tutti gli Stati membri al fine di raggiungere lo scopo perseguito dalla direttiva, la Commissione «ha violato il margine di manovra loro conferito dalla direttiva».

Secondo il Tribunale consentire alla Commissione di adottare un medesimo metodo di valutazione dei piani per tutti gli Stati membri equivarrebbe a riconoscerle «non soltanto un effettivo potere uniformatore nell'ambito dell'attuazione del sistema per lo scambio di quote, ma altresì un ruolo centrale nell'elaborazione degli stessi piani». Il problema è che «la Commissione, nell'ambito del suo potere di controllo dei piani, non ha ricevuto dal legislatore né un siffatto potere uniformatore, né un siffatto ruolo centrale».

Spetta infatti a ciascuno Stato membro e non alla Commissione «decidere circa la quantità totale di quote che intende assegnare per il periodo di cui trattasi e dare corso al procedimento di attribuzione di tali quote al gestore di ciascun impianto, nonché statuire sull'assegnazione delle dette quote». Di conseguenza le decisioni di Bruxelles «hanno per effetto di sconfinare nella competenza esclusiva che la direttiva conferisce agli Stati membri per decidere della quantità totale di quote da assegnare relativamente a ciascun quinquennio a partire dal primo gennaio 2008».

La Commissione Ue ha accolto con delusione la sentenza e probabilmente farà ricorso. Proprio sul potere comunitario di usare una sola metodologia per valutare i piani nazionali di riduzione delle emissioni di Co2 si fonda l'intera azione comunitaria per fronteggiare il cambiamento climatico. La sentenza, se confermata, avrebbe con ogni probabilità effetti diretti sul sistema di scambio di emissione delle quote e sulla stessa Borsa dei diritti a inquinare: tetti di emissione più bassi hanno finora permesso di mantenere i prezzi dei diritti stabili per tonnellata di Co2.

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